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Agrigento nel famoso Grand Tour
IL GRAND TOUR IN SICILIA
Il Grand Tour è un viaggio a tappe attraverso l’Europa che il giovane aristocratico compieva a completamento dei suoi studi universitari. Un viaggio di formazione quindi, durante il quale l’élite di studenti poteva osservare da vicino il fervore artistico-culturale che animava le corti europee del Rinascimento.
La tradizione si protrarrà per circa tre secoli (XVII- XIX sec.) e l’Italia rappresenterà una tappa comune e “obbligata” per tutti i viaggiatori, che si muoveranno sull’asse principale Venezia-Firenze-Roma-Napoli.
A partire dalla fine del Settecento, anche la Sicilia rientrerà tra le tappe del Grand Tour, grazie al nuovo spirito enciclopedico illuministico e al ritrovato interesse per l’arte e la cultura classica e per la Natura. Privilegiate saranno quindi le mete dall’interesse archeologico come Agrigento, Segesta, Selinunte, Siracusa, Solunto, Taormina ma anche architettonico e paesaggistico come Catania, Messina e Palermo.
“L’Italia senza la Sicilia avrebbe lasciato nell’anima mia un quadro imperfetto” scrive J.W. Goethe, uno dei primi ad avventurarsi oltre lo Stretto e a testimoniare nel suo Viaggio in Italia il ruolo di questa terra nella riscoperta della classicità latina e greca.
Con la nascita della fotografia, l’idea del viaggio assume un nuovo fascino: scatti istantanei danno testimonianza visiva e reale della presenza nei luoghi, e dei luoghi stessi. I fotografi, come privati escursionisti o per campagne “commerciali”, diventano così eredi ideali dei viaggiatori del Grand Tour, ripercorrendo le tappe storiche e aggiungendone nuove, dando finalmente un’immagine concreta di quei siti archeologici, città, panorami, ma anche genti e tradizioni, che fino ad allora vivevano nelle descrizioni letterarie e resoconti di viaggio di chi cercava di fermare nel tempo ciò che aveva visto e vissuto.
per saperne di più vai a: fotostorichedisicilia.cricd.it
Il Grand Tour è un viaggio a tappe attraverso l’Europa che il giovane aristocratico compieva a completamento dei suoi studi universitari. Un viaggio di formazione quindi, durante il quale l’élite di studenti poteva osservare da vicino il fervore artistico-culturale che animava le corti europee del Rinascimento.
Capponata, regina nelle insalate siciliane
In Sicilia c’è caponata e caponata: le versioni della ricetta sono diverse, a seconda delle zone dell’isola. Ecco le due ricette emblematiche per differenze, quella di Trapani e quella di Catania. Nessuna sfida, solo una questione di gusti e tradizioni
Caponata: in origine era un pesce
Il nome “caponata” indicava il companatico che le donne davano ai loro mariti pescatori del capone, nome siciliano della Lampuga, un pesce della famiglia dei tonni, ricercato per le sue carni pregiate e che veniva servito con la salsa agrodolce della caponata. I poveri, che non potevano permettersi il pesce, lo sostituirono con le melanzane.
Due le scuole di pensiero nell’isola simbolo del bien manger: da una parte chi concepisce il piatto come un insieme di verdure, tra cui appunto le melanzane, accostate a un altro simbolo della Sicilia come le mandorle, e poi condite in agrodolce, e chi, sulla costa orientale e nello specifico nella città di Catania, vede invece una predominanza della melanzana e del pomodoro, uniti ai pinoli e al basilico fresco.
La melanzana lunga, non una qualunque
In entrambi i casi la melanzana utilizzata per la caponata è quella oblunga e soda, detta anche la “violetta di Palermo”. Questa melanzana ha una consistenza meno spugnosa di quelle tonde, e una polpa densa e compatta, perfetta per non assorbire troppo olio durante la frittura e per non rilasciarlo una volta cotta, evitando così l’effetto super unto.
per saperne di più vai a: lacucinaitaliana.it
L’urbanistica dell’antica città di Akragas
Urbanistica
La città si dispone sulla sommità di due colline strette e lunghe, disposte in senso grossolanamente est-ovest, il colle di Girgenti ad ovest e la Rupe Atenea, ad est, collegate fra loro da uno stretto istmo, e sull’altopiano a quota inferiore (circa m 120-170 sul livello del mare) a sud delle prime.
Con le sue coste precipiti a sud (la Collina dei Templi) e l’ampia valle centrale quasi pianeggiante (la Valle dei Templi), essa offre ampio spazio allo sviluppo urbano regolare.Tutto il ripido vallone a nord delle due colline più alte e buona parte dei tre piani dell’altopiano sono attraversati da due fiumi, l’Akragas (odierno S. Biagio) a nord e ad est, e l’Hypsas (odierno S. Anna) ad ovest, che a poca distanza dalla città verso mezzogiorno confluiscono per poi andare a sboccare in mare in un unico corso d’acqua (odierno S. Leone), alla cui foce si colloca il porto antico d’Agrigento.
Di fatto l’abitato si sviluppa al centro delle tre colline nella cosiddetta Valle dei Templi, dove prima la fotografia area e poi gli scavi ne hanno rivelato con sufficiente chiarezza l’impianto, datato a metà circa del VI secolo a.C.
La struttura ippodamea è organizzata almeno su sei plateiai (vie principali) est-ovest, di cui la primaria (la quinta da nord) ha una larghezza di ben dodici metri, e su di una fitta trama di strade ortogonali nord-sud, col risultato di un alto numero d’isolati di larghezza costante, ma di lunghezza variabile, a causa del diverso distanziarsi reciproco delle plateiai.
Si notano due griglie d’isolati con orientamento lievemente diversi: un blocco all’estremità nord-ovest della Valle, ed un blocco centro-meridionale, comprendente la maggior parte dell’abitato.
per saperne di più vai a : wikipedia.org
Il Monumentale Tempio di Giunone (Agrigento)
Il tempio di Hera Lacinia, noto anche come tempio di Giunone(dal nome romano della dea) o tempio D, è un tempio greco dell’antica città di Akragas sito nella Valle dei Templi di Agrigento.
Il Tempio
Fu edificato nella seconda metà del V secolo a.C., intorno al 450 a.C. e appartiene come epoca e come stile al periodo del dorico classico. Sono stati rilevati segni dell’incendio del 406 a.C. dopo il quale è stato restaurato in età romana, con la sostituzione delle originarie tegole fitili con altre marmoree e con l’aggiunta del piano inclinato alla fronte orientale.
L’edificio è un tempio dorico periptero con 6 colonne sui lati corti (esastilo) e 13 sui fianchi, secondo un canone derivato dai modelli della madrepatria ed utilizzato anche per il tempio “gemello” della Concordia con il quale è accomunato anche dalle dimensioni generali e dalle misure, quasi standardizzate di alcuni elementi costruttivi. Le dimensioni complessive sono di circa m 38,15×16,90.
Il fronte presenta interassi leggermente diversi con la contrazione di quelli terminali e l’enfatizzazione di quello centrale. Il peristilio di 34 colonne alte m. 6,44 e costituite da 4 rocchi sovrapposti, poggia su un crepidoma di quattro gradini. Edificato su di uno sperone con un rialzo risulta in gran parte costruito artificialmente.
L’interno è costituito da un naos senza colonnato interno, del tipo doppio in antis, dotato di pronao e opistodomo simmetrici, entrambi incorniciati da gruppi di due colonne (distili). Due scale per l’ispezione alla copertura o per motivi di culto, erano presenti nella muratura di separazione tra naos e pronaos (diaframma).
Attualmente si conserva il colonnato settentrionale con l’epistilio e parte del fregio, mentre i colonnati sugli altri tre lati sono conservati solo parzialmente (mancano 4 colonne e 9 sono smozzate), e senza architrave. Pochi sono gli elementi rimasti della cella di cui rimane la parte bassa della muratura che la delimitata. L’edificio è stato così ricostruito mediante anastilosi fin dal Settecento ad oggi.
per saperne di più vai a: wikipedia.org
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ICARO nella Valle dei Templi di Agrigento
Le sculture di Igor Mitoraj denunciano lo stato di abbandono dell’arte. Il grande scultore è scomparso, ma ha lasciato all’Italia e al mondo intero un patrimonio inestimabile.
Nato da madre polacca e padre francese a Oederan in Germania il 26 marzo 1944, Igor Mitoraj riuscì a sopravvivere al bombardamento di Dresda del 1945. Con la fine della seconda guerra mondiale la famiglia si trasferì in Polonia, nei pressi di Cracovia, dove studiò presso la Scuola d’Arte della città. Successivamente si diplomò presso l’Accademia di Belle Arti, dove fu allievo del famoso pittore e scenografo Tadeusz Kantor, il quale contribuì fortemente alla sua formazione accademica e artistica. Nel 1967 Mitoraj espose per la prima volta le sue opere pittoriche presso la Galleria Krzysztofory, in Polonia. Successivamente si trasferì a Parigi, dove studiò presso la Scuola parigina di Belle Arti (Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts). Affascinato dall’arte dell’America latina, Mitoraj si trasferì in Messico, dove trascorse un intero anno dipingendo e viaggiando per il paese. Tornato a Parigi nel 1974, presentò le sue opere in una seconda mostra presso la Galleria La Hune, dove per la prima volta Mitoraj espose anche alcune opere scultoree. Dopo il successo ottenuto dalla mostra e l’apprezzamento ricevuto per le sue opere, soprattutto per quelle scultoree, Mitoraj decise di aprire uno suo studio a Parigi, per dedicarsi completamente alla scultura. All’inizio della sua carriera da scultore, Mitoraj lavorava principalmente la terracotta e il bronzo.
Nel 1979, dopo un viaggio a Carrara, Mitoraj decise di sostituire la terracotta con il marmo, utilizzando così prevalentemente il marmo e il bronzo. Nel 1983 si trasferì a Pietrasanta, dividendosi tra la città toscana e Parigi. Mitoraj fece di Pietrasanta la sua seconda casa e iniziò una collaborazione proficua con la città, tanto da aprire un secondo studio proprio lì e donando alla città varie opere scultoree. Anche per questo molto spesso Pietrasanta è rinominata la “Piccola Atene”.
per saperne di più vai a: agoravox.it
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Ipogeo Kolymbetra, nella Valle dei Templi. Agrigento
L’ipogeo Kolymbethra – Porta V è un percorso sotterraneo, scavato interamente dall’uomo risalente al V sec. a.C.
Aperto alla fruizione del pubblico dall’aprile 2017 grazie alla sinergia tra l’associazione Agrigento Sotterranea Onlus e il FAI.
Questo ipogeo è caratterizzato da uno sviluppo planimetrico di circa 185 metri, con un dislivello di circa 11 metri.
Questo suggestivo percorso ha un agevole accesso all’interno del giardino della Kolymbetra, con una seconda facile uscita in prossimità della Porta V.
Lo sviluppo dell’Ipogeo, semplice e facilmente percorribile, è intervallato da due pozzi verticali, uno nei pressi della biglietteria della Kolymbetra (da cui possibile entrare e uscire); ed un secondo sul pianoro calcarenitico su cui è stato edificato il Tempio dei Dioscuri, costituito da un pozzo verticale a sezione rettangolare e profondo circa 10 metri.
Durante l’escursione all’interno dell’ipogeo si gode di un ambiente fresco e asciutto. Anche se la temperatura interna e il grado di umidità variano in relazione alle condizioni climatiche esterne, generalmente le stesse si mantengono pressocché costanti.
L’ipogeo, per buona parte del suo andamento, si presenta “fossile”, ovvero senza presenza d’acqua.
Nel tratto finale si ritrovano concrezionamenti attivi, che testimoniano presenza di acqua e rendono – se possibile – questo particolarissimo ambiente di una bellezza unica.
Lame di carbonato di calcio rivestono le pareti, trasformando le pareti calcarenitiche in un paesaggio tipico di grotta.
Si possono osservare tracce lasciate sulle pareti durante l’antico scavo, le tecniche per la realizzazione della cavità, come veniva illuminato.
La visita all’interno dell’ipogeo è un viaggio nel tempo e nella storia che vi riporterà indietro di 2,500 anni.
La visita è aperta a tutti, grandi e bambini, purchè equipaggiati di grande curiosità ed interesse e pronti ad intraprendere un viaggio magico e misterioso all’interno di una valle che non ti aspetti ma che ti rapirà per sempre il cuore.
per saperne di più vai a: agrigentosotterranea.it
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Gli Ipogei nel Parco archeologico della Valle dei templi
Il carrubo:L’albero del cioccolato dei poveri
Carruba, pianta e frutto: tutte le informazioni sul carrubo e sul frutto, la carruba da mangiare cruda o ridotta in farina. Proprietà delle carrube e cenni botanici.
Il carrubo è un albero longevo e molto resistente alla siccità. Prospera bene nel clima mite del Meridione e nelle altre zone d’Italia può essere coltivato come alberello ornamentale.
Carrubo, caratteristiche della pianta
Il significato del nome carrubo deriva dall’arabo Kharrub, testimonianza delle origine della pianta: il carrubo è stato portato in Sicilia dai Fenici (XI – XII secolo a.C.). Si tratta quindi di una specie molto antica.
Dato che si tratta di un albero prevalentemente dioico, per la coltivazione e la produzione delle carrube (i frutti) è necessaria la fecondazione. Per la fecondazione è necessario coltivare due carrubi: per a fecondazione dei fiori femminili occorre la presenza di polline dai fiori maschili. Chi vuole ovviare alla presenza di due piante, dovrà cercare un albero ermafrodita.
Carrube, i frutti del carrubo
I frutti di questa pianta sono generalmente chiamati carrube. Presentano una forma inconfondibile: appaiono come baccelli allungati, in grado di raggiungere e superare i 20 cm.
I frutti, a maturità, sono di colore marrone scuro. Presentano una superficie rugosa e dura, con un interno carnoso e dolce al gusto.
Le carrube maturano tra agosto e settembre dell’anno seguente alla fioritura. Contengono molti semi duri, tondi e schiacciati. Anche i semi sono di colore marrone scuro.
I semi delle carrube sono dette carati. Come premesso, il carrubo è un albero antico. I semi di carrube hanno dimensioni e peso piuttosto omogeneo e in passato venivano utilizzati come unità di misura per pesare oro e materiali preziosi.
I deliziosi dolci Siciliani per il periodo di Pasqua
Agnello pasquale di Favara
L’agnello pasquale è un dolce di pasta di pistacchio ricoperta di pasta di mandorle tipico del comune agrigentino di Favara. Non va quindi confuso con la pecorella pasquale, fatta di sola pasta di mandorle, con la quale condivide la stessa sorte al termine dei pranzi di Pasqua siciliani.
La più antica ricetta dell’agnello pasquale su carta giunta a noi porta la data del 1898 ed è appartenuta ad una ricca famiglia della borghesia agraria e solfifera di Favara. Tuttavia, sembra che a inventare questo dolce siano state le suore del Collegio di Maria del quartiere “Batia” di Favara molto tempo prima del 1898 e che i favaresi provassero poco interesse per questo dolce, preferendogli di gran lunga i cannoli e i cialdoni.
Quale che sia la storia, sta di fatto che, se un tempo l’agnello pasquale non solleticava molto i palati favaresi, oggi è invece un vero e proprio simbolo di Favara.
Ricetta dell’agnello pasquale di Favara
Ingredienti
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per saperne di più vai a :dolcisiciliani.net
Le coltivazioni redditizie di Pistacchio in Sicilia
Il Coltivo di Pistacchio prospera in Povertà
Il Pistacchio fra le altre specie è una pianta da frutto generosa che sa vivere in assoluta povertà persino su un’asciutta distesa di pietra mista a terra o addirittura in una fessura fra le rocce con appena una manciata di terra dentro.
La pianta di pistacchio, in contrasto con le dure condizioni nelle quali vive, rimane sempre bella e rigogliosa anche quando durante la piena estate siciliana infieriscono la calura e l’arsura.
Per la sua rusticità e per il suo aspetto ornamentale, vale la pena coltivare qualche esemplare di pianta di pistacchio. Se il clima della tua zona lo permette, puoi farlo in uno spazio roccioso o in un tratto di terra magra e sabbiosa del giardino di casa.
Per amor di verità però c’è da aggiungere che non è tutto merito della pianta di pistacchio questa sua straordinaria adattabilità a suoli così difficili e oserei dire estremi.
Il vero merito è dovuto al suo portainnesto il terebinto, un suo parente prossimo che munito di un forte e resistente apparato radicale riesce ad aggredire la roccia aggirandola ed insinuandosi nelle sue fessure riuscendo così a sfruttare ogni minimo granello di terra.
E’ il terebinto che fornisce alla chioma del pistacchio quanto gli occorre per le sue esigenze vegetative e produttive. In questo post ti farò scoprire la pianta di pistacchio un albero decorativo che sa vivere in povertà.
Infatti il suo ambiente ideale è formato da un suolo arso e difficile con clima caldo arido. I suoi frutti riuniti in grappoli rossi e gialli maturano sino ad ottobre e contengono i semi così ricercati, nutrienti e gustosi.
La pianta di pistacchio e le sue millenarie origini
La pianta di pistacchioè una pianta coltivata da migliaia di anni nelle regioni della Siria.
per saperne di più vai a : lepiantedafrutto.it