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Le tombe bizantine nella Valle dei templi
Le tombe del periodo Bizantino: Gli Arcosoli
Lungo le fortificazioni meridionali di età greca, nel tratto compreso tra il Tempio di Giunone e il Tempio della Concordia, si trovano numerose tombe ad arcosolio ricavate nello spessore della parete rocciosa che delimita a Sud la Collina dei Templi e che fungeva da base alla cinta muraria.
CHE SIGNIFICA ARCOSOLIO IN ITALIANO?
L’arcosolio è una tipologia architettonica usata per monumenti funebri. Tipica delle catacombe romane. È costituita da un sarcofago o da una tomba chiusa da lastre di marmo o in muratura. È inserita in una nicchia sormontata da un arco a tutto sesto, in genere scavata nel tufo della parete.
La sepoltura occupava interamente la parte inferiore della nicchia. Lo spazio che si veniva a creare sotto l’arco, la lunetta, veniva spesso decorato con pitture. A partire dal XIII secolo questa tipologia venne ripresa per le sepolture nelle pareti delle chiese.
È sormontata da un arco ogivale e con il defunto ritratto da una scultura della sua persona, spesso disteso sul sepolcro, ma in casi più rari in posizione orante.
Nel Rinascimento l’arco divenne a tutto sesto e numerosi artisti usarono questa tipologia, come nella tomba di Leonardo Bruni di Bernardo Rossellino o in quella di Carlo Marsuppini di Desiderio da Settignano, entrambe poste nella basilica di Santa Croce a Firenze.
per saperne di più vai a: educalingo.it
Le tombe del periodo Bizantino: Gli Arcosoli
Lungo le fortificazioni meridionali di età greca, nel tratto compreso tra il Tempio di Giunone e il Tempio della Concordia, si trovano numerose tombe ad arcosolio ricavate nello spessore della parete rocciosa che delimita a Sud la Collina dei Templi e che fungeva da base alla cinta muraria.
CHE SIGNIFICA ARCOSOLIO IN ITALIANO?
L’arcosolio è una tipologia architettonica usata per monumenti funebri. Tipica delle catacombe romane. È costituita da un sarcofago o da una tomba chiusa da lastre di marmo o in muratura. È inserita in una nicchia sormontata da un arco a tutto sesto, in genere scavata nel tufo della parete.
Capra Girgentana, una razza dalle grandi potenzialità economiche
Inconfondibile per le sue corna attorcigliate, spiralate, che la rendono esteticamente attraente. Ma è zoo-economicamente vantaggioso allevare una capra girgentana? A questa domanda prova a dare una risposta affermativa il progetto “disolaGirgentana” (www.disolagirgentana.it), finanziato con la misura 124 del Psr, e le cui conclusioni sono state presentate nel corso di un convegno che si è tenuto nell’aula magna del dipartimento di Scienze agrarie e forestali dell’Università di Palermo. Si scopre così che il latte della capra autoctona siciliana è più digeribile, poco allergenico e adatto per produrre alcuni ottimi formaggi caprini, molto apprezzati sul mercato. Ma si conferma la tendenza alla via di estinzione di questa razza, allevata in circa 400 esemplari certificati in Sicilia, contro i 30-40 mila esemplari degli anni Settanta-Ottanta.
«Con questo progetto – spiega Baldassare Portolano, responsabile scientifico dell’iniziativa e docente del dipartimento di Scienze agrarie e forestali – abbiamo cercato di mettere a punto dei programmi di salvaguardia, di controllo della consanguineità per evitare la deriva genetica casuale, ma anche di mantenere i livelli produttivi di 250-300 litri di latte all’anno. Una ricerca rivolta in particolar modo a trasferire le informazioni agli allevatori, perché la sola morfologia della capra girgentana, per quanto esteticamente gradevole, non permette di proteggerla se non si trova anche un valore aggiunto di tipo zoo-economico». Un valore aggiunto che esisteva quando questa razza veniva allevata nelle stalle dei piccoli paesi, in allevamenti specializzati, cioè monorazza, perché il latte veniva venduto porta a porta. Poi le nuove normative sanitarie vietarono questi usi e la girgentana iniziò a conoscere il proprio declino. «Adesso abbiamo voluto sviluppare anche le produzioni lattiero-casearie della girgentana – prosegue Portolano – legando il prodotto alla razza, creando una tradizione che in Sicilia non esisteva. Ecco il perché del nome “disolaGirgentana”».
per saperne di più vai a: siciliaagricoltura.it
Inconfondibile per le sue corna attorcigliate, spiralate, che la rendono esteticamente attraente. Ma è zoo-economicamente vantaggioso allevare una capra girgentana? A questa domanda prova a dare una risposta affermativa il progetto
Pasqua In Sicilia: Tradizioni E Riti Religiosi Tra Sacro E Profano
La Sicilia è una terra tradizionalmente molto legata alla religione cattolica e alle sue celebrazioni. La Pasqua, tra le festività più importanti del culto cristiano, è molto sentita, e lo dimostrano le tantissime manifestazioni in più provincie e centri abitati. Queste manifestazioni si svolgono quasi sempre dalla domenica delle Palme fino al giorno stesso di Pasqua e sono spesso un misto tra culto religioso e credenze popolari.
Qui di seguito ho provato a raccogliere quelle più importanti e significative, capaci attirare sia fedeli che turisti in cerca di folclore..
Pasqua in Sicilia: i Misteri di Trapani
Dalle ore 14 del Venerdì Santo fino alle 14 del Sabato a Trapani va in scena la processione dei Misteri, tra le rappresentazioni religiose più sentite e commoventi di Sicilia. 20 maestranze portano in giro i misteri, ovvero gruppi scultorei costituiti da basi in legno, che rappresentano i momenti della passione e morte di Cristo. Un vero e proprio spettacolo che si svolge nel centro storico della città e che coinvolge l’intera popolazione cittadina.
Pasqua in Sicilia: U’ Signuruzzu a cavaddu a Caccamo (PA)
La Domenica delle Palme, lungo il borgo medioevale di Caccamo, si svolge la processione chiamata U’ Signuruzzu a cavaddu, organizzata dalla Parrocchia di San Giorgio Martire, nonché Chiesa Madre di Caccamo. Si tratta di una rievocazione, probabilmente di origine bizantina, dell’entrata di Cristo a Gerusalemme. Sia Gesù che i 12 apostoli sono rappresentati da bambini.
se vuoi saperne di più vai a: ioamolasicilia.com
La Sicilia è una terra tradizionalmente molto legata alla religione cattolica e alle sue celebrazioni. La Pasqua, tra le festività più importanti del culto cristiano, è molto sentita, e lo dimostrano le tantissime manifestazioni in più provincie e centri abitati. Queste manifestazioni si svolgono quasi sempre dalla domenica delle Palme fino al giorno stesso di Pasqua e sono spesso un misto tra culto religioso e credenze popolari.
Sicilia: “il granaio dell’Impero Romano”
Catone il Censore, il celebre politico e oratore, la definì “il granaio della Repubblica, la nutrice al cui seno il popolo romano si è nutrito”. Effettivamente la Sicilia, conquistata alla fine della prima guerra punica (241 a.C.), fu un centro di vitale importanza per la ricchezza e la prosperità della Repubblica e, in seguito, dell’Impero. «La regione ha avuto un ruolo decisivo nell’espansionismo romano nel Mediterraneo», spiega Arnaldo Marcone, docente di Storia romana all’Università di Roma Tre. «E ha rappresentato un precedente organizzativo per le conquiste successive».
Divenuta la prima provincia romana, dal 227 l’isola fu affidata a un propretore (coadiuvato da un questore) e, a partire dal regno di Augusto (che la riformò e vi fondò nuove colonie e municipi), a un proconsole proveniente dal Senato. Insomma, una stella di prima grandezza nei dominii romani. E il suo ruolo strategico verrà meno nel V secolo, in piena decadenza dell’Impero romano, quando fu invasa dai Vandali di Genserico, giunti dall’Africa.
se vuoi saperne di più vai a:www. stravaganzastravaganza.blogspot.it
Catone il Censore, il celebre politico e oratore, la definì “il granaio della Repubblica, la nutrice al cui seno il popolo romano si è nutrito”. Effettivamente la Sicilia, conquistata alla fine della prima guerra punica (241 a.C.), fu un centro di vitale importanza per la ricchezza e la prosperità della Repubblica e, in seguito, dell’Impero. «La regione ha avuto un ruolo decisivo nell’espansionismo romano nel Mediterraneo», spiega Arnaldo Marcone, docente di Storia romana all’Università di Roma Tre. «E ha rappresentato un precedente organizzativo per le conquiste successive».
Divenuta la prima provincia romana, dal 227 l’isola fu affidata a un propretore (coadiuvato da un questore) e, a partire dal regno di Augusto (che la riformò e vi fondò nuove colonie e municipi), a un proconsole proveniente dal Senato. Insomma, una stella di prima grandezza nei dominii romani.
IL CANNOLO SICILIANO: Re dei dessert
Il cannolo siciliano è una delle specialità più conosciute della pasticceria italiana. Come tale è stata ufficialmente riconosciuta e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf).
In origine venivano preparati in occasione del carnevale; col passare del tempo la preparazione ha perso il suo carattere di occasionalità ed ha conosciuto una notevolissima diffusione sul territorio nazionale, divenendo in breve un rinomato esempio dell’arte pasticcera italiana nel mondo.
Storia del cannolo siciliano
Il riferimento del nome è legato alle canne di fiume cui veniva arrotolata fino a pochi decenni fa la cialda durante la sua preparazione; quel che è certo è che il dolce fu inventato secondo una ipotesi in tempi remoti per festeggiare il carnevale.La prima descrizione risale al duca Alberto Denti di Pirajno che nel suo libro “Siciliani a tavola” scrive: “Tubus farinarius dulcissimo edulio ex lacte fartus”. Secondo Pirajno la definizione è attribuibile a Cicerone (questore di Lilybeo, l’odierna Marsala, fra il 76 e il 75 a.C.). Nel Dizionario di Michele del Bono: Dizionario Siciliano-Italiano-Latino, Palermo 1751 si legge testualmente: «Cannola: capelli arricciati. ricci. cincinni [per pasta dilicatissima lavorata a foggia di cannello, pieni di bianco mangiare. Tubus farinarius dulcissimo edulio ex lacte fartus]», si nota chiaramente come il lemma in siciliano corrisponde alla definizione in lingua italiana e quindi in lingua latina.
Inoltre Pino Correnti, nel suo Libro d’oro della cucina e dei vini della Sicilia riportando la frase latina sopracitata dal De Bono, suggerirebbe solamente il fatto che la definizione è stata diffusa per secoli in una descrizione del cannolo in lingua latina. Egli sostiene, inoltre, che il cannolo sarebbe stato inventato dalle abili mani delle suore di clausura di un convento nei pressi di Caltanissetta, partendo da un’antica ricetta romana poi elaborata dagli arabi. Secondo una diffusa tradizione esso deve il proprio nome ad uno scherzo carnevalesco che consisteva nel far fuoriuscire dal cannolo la crema di ricotta al posto dell’acqua, cannolo è un termine dilettale che indica una sorta di rubinetto.Il dolce sebbene sia nato a Caltanissetta, deve comunque gran parte della sua notorietà e diffusione planetaria ai pasticceri di Palermo, che hanno contribuito a stabilizzarne la ricetta, così come la conosciamo oggi, unitamente ai pasticceri di Messina, che ne hanno anche inventato la variante con crema scura di ricotta e cioccolato.
Se voui saperne di più vai a: wikipedia.org
Guida turistica Parco archeologico Valle dei templi, Guida turistica Parco archeologico Valle dei templi, Guida turistica Parco archeologico Valle dei templi, Guida turistica Parco archeologico Valle dei templi,
L’albero di Giuda o dell’Amore nella Valle dei Templi
Se vi state chiedendo quale è quell’albero che fiorisce sul tronco… è lui, l’albero di Giuda. L’Albero di Giuda, botanicamente conosciuto come Cercis siliquastrum, è un albero ornamentale poco conosciuto dagli italiani ma merita un posto di primo piano per la sua precoce e lussureggiante fioritura. L’albero di Giuda è perfetto per chi sta cercando un albero ornamentale da coltivare in giardino: ha un grosso valore estetico soprattutto in piena fioritura e in più non richiede alcuna particolare cura.
L’albero di Giuda presenta una fioritura particolare, non solo per la posizione ma anche per le tempistiche: i fiori spuntano prima delle foglie su tutti i rami fino a ricoprire anche il tronco. Le foglie caduche sono cuoriformi, larghe da 5 a 10 cm e dal colore alterno che va dal verde scuro sulla pagina superiore al verde opaco su quella inferiore. In primavera, le foglie, possono assumere tonalità bronzee mentre in primavera, in base all’esposizione solare, possono assumere un colore che va dal giallo oro all’arancio.
I fiori dell’albero di Giuda sono rosa porpora, raggruppati in insiemi da 4-6 esemplari. La magnifica fioritura avviene in marzo-aprile.
L’albero di Giuda, fiori da mangiare
La particolarità della fioritura continua in cucina: i fiori possono essere raccolti e mangiati, sia fritti in pastella sia mescolati freschi a insalate. C’è chi li conserva in salamoia come i capperi per poi usarli in zuppe o piatti alla pizzaiola e c’è chi li conserva sottaceto.
se vuoi saperne di più vai a : ideegreen.it
presenta una fioritura particolare, non solo per la posizione ma anche per le tempistiche: i fiori spuntano prima delle foglie su tutti i rami fino a ricoprire anche il tronco. Le foglie caduche sono cuoriformi, larghe da 5 a 10 cm e dal colore alterno che va dal verde scuro sulla pagina superiore al verde opaco su quella inferiore. In primavera, le foglie, possono assumere tonalità bronzee mentre in primavera, in base all’esposizione solare, possono assumere un colore che va dal giallo oro all’arancio.
Arancia rossa di Sicilia IGP Citrus sinensis
Origini e storia
Gli agrumi in Italia ed in particolare in Sicilia sono presenti da quasi 2000 anni, tanto che lo stesso Virgilio nelle Georgiche ne descrisse i caratteri, mentre la massiccia introduzione si realizzò nel X secolo e nel XII secolo d.C. ad opera degli arabi con particolare riferimento all’arancio e al limone. Merito di Cristoforo Colombo e degli spagnoli fu quello di diffondere le diverse specie di agrumi nelle Americhe tra la fine del 1400 e gli inizi del 1500.
In Sicilia la coltivazione vera e propria degli agrumi inizia dopo il 1800 con una superficie di ben 7500 ettari. Sono diffusi in massima parte nella provincia di Catania. La Sicilia infatti è l’unica regione al mondo in cui vengono prodotte arance rosse di elevato standard di qualità. Infatti i tentativi messi in atto da Spagna, Marocco e California di impiantare queste coltivazioni, non hanno dato un risultato di grande rilievo.
Produzione e territorio.
Principali zone di produzione: Sicilia orientale e provincia di Catania.
L’arancia rossa di Sicilia ed in particolare quella di Paternò è considerata di qualità superiore alle arance non pigmentate.
Esistono tre qualità di Arance Rosse: Tarocco, Moro e Sanguinello. Le cultivar Tarocco, Moro e Sanguinello producono un succo di colore rosso brillante, con profumo fresco e delicato, ed un gusto dolce ed acidulo.
Il superiore valore biologico delle arance rosse, rispetto alla arance bionde, è da ascrivere all’elevato contenuto di vitamina C, fino a 90 mg/100 ml di succo nel Tarocco. Le Arance Rosse di Sicilia sono coltivate in impianti la cui densità massima di piante è pari a 230- 420 per ettaro, anche se è ammessa una densità di 725 per gli impianti esistenti e di 600-840 per i sesti dinamici. Il distacco dei frutti viene realizzato con l’utilizzo di forbicine di raccolta che operano il taglio del peduncolo. La produzione massima unitaria è fissata in 300 quintali per ettaro (360 per alcuni cloni). L’Arancia Rossa di Sicilia viene immessa al consumo con il logo della IGP apposto su ogni frutto. Per quanto concerne i periodi di raccolta vanno da metà Dicembre a metà Maggio per il Tarocco, da Gennaio a metà Marzo per il Moro mentre per il Sanguinello da metà Marzo ad Aprile.
per saperne di più vai a: coribia.it
Antico Quartiere del Rabato ad Agrigento
TRA LE VIE DEL RABATO
CORTILI-CHIESE- TRADIZIONI
Akràgas venne fondata nel 581 a.C. da coloni provenienti da Gela nella zona compresa fra il colle di Girgenti, la rupe Atenea, e la Valle dei Templi.
Conquistata dai Romani prese il nome di Agrigentum. Per tutta l’età repubblicana fu il maggior centro della Sicilia meridionale grazie anche ad un’economia basata sulla produzione cerealicola e vitivinicola, sullo sfruttamento delle miniere di zolfo e sulla raccolta del sale. A partire dal III secolo d.C., la città lentamente comincia a spopolarsi e con la caduta dell’impero romano d’occidente nel 476 d.C. fu brutalmente travolta dalla furia devastatrice dei Barbari, che cessò solamente con l’arrivo dei bizantini nel VI sec. d.C. La popolazione era ormai notevolmente ridotta e concentrata per lo più nella zona del quartiere ellenistico romano.
Tuttavia, finchè il Mediteranneo centrale rimase saldamente sotto il controllo bizantino, Agrigentum godette se non di prosperità, quanto meno di sicurezza; ma quando, a partire dalla seconda metà del VII secolo, si fecero più intense le scorrerie dei musulmani stanziatisi in nordafrica, la popolazione si spostò gradualmente a vivere su quella parte della città corrispondente all’antica acropoli sul lato occidentale del colle Girgenti -al riparo dal mare – dando origine ad un
insediamento trogloditico più facilmente difendibile.
Le grotte trogloditiche
Oggi è possibile vedere soltanto quello che rimane dell’ l’antico villaggio sorto nella contrada denominata “balatizzo”.
Si trattava di un borgo di case scavate nella roccia, scoperto da Salvatore Bonfiglio nel 1898 e che si estendeva tra l’odierna Via Dante e l’attuale Parco dell’Addolorata ad ovest, fino al quartiere Santa Croce a nord e verso est nell’area ove poi fu costruito, nel ‘300, il convento del Carmine.
Stupisce alquanto il silenzio delle fonti su quella che oggi è una innegabile realtà archeologica: queste grotte, infatti, erano presenti dalla protostoria fino ai secoli dell’alto Medioevo sul colle di Girgenti ed erano ubicate, come indicato puntualmente dalle fonti, “sul lembo occidentale della collina che a mezzogiorno del Rabato discende a picco verso la vallata”.
per saperne di più vai a: agrigentoierieoggi.it
Mitologia dell’Ulivo e i suoi derivati : Grecia I
I riferimenti all’Ulivo nella mitologia greca sono tantissimi, e ci vorrà davvero moltissimo lavoro per raccoglierne anche solo la maggior parte, non dico tutti; qui ho cercato di riunire i principali.
Come idea generale si può dire che l’Ulivo in Grecia, come d’altronde era stato fin dalle sue origini mesopotamiche, si presenta come l’albero della civiltà per eccellenza, intanto perché per ottenerne i prodotti dev’essere innestato, curato e i frutti lavorati, e poi perché, come vedremo, ad esso si legano alcune delle più antiche istituzioni sociali e culturali sia di Atene, sia panelleniche.
Il primo ad estrarre l’olio dalle olive fu Aristeo, grande eroe civilizzatore “rurale” che avrebbe anche insegnato agli uomini a fare il formaggio, raccogliere il miele e tessere la lana; Diodoro Siculo (IV, 81, 1) aggiunge che tutto ciò gl’era stato insegnato dalla Ninfe che l’avevano cresciuto, e questo motivo delle donne selvatiche che, benevolmente, donano preziose conoscenze agli uomini ,è molto diffuso nella mitologia e nel folklore, anche quello, più vicino a noi, dell’arco alpino.
Un importantissimo simbolo religioso era il ramo d’Ulivo ornato di bianche bende di lana chiamato hiketeria: era questo il ramo che il supplice poneva sull’altare, chiedendo la protezione degli Dei, da quel momento era considerato intoccabile, agire contro di lui significava attirarsi l’ira divina, ed anzi anche il non aiutarlo avrebbe potuto avere conseguenze negative.
se voi saperne di più vai a : il giardino di psiche
“…albero
non piantato da mano d’uomo, che da sé ricresce,
terrore delle lance nemiche,
che in questa terra soprattutto germoglia:
il glauco ulivo, che nutre i nostri figli.”
I riferimenti all’Ulivo nella mitologia greca sono tantissimi, e ci vorrà davvero moltissimo lavoro per raccoglierne anche solo la maggior parte, non dico tutti; qui ho cercato di riunire i principali.
Come idea generale si può dire che l’Ulivo in Grecia, come d’altronde era stato fin dalle sue origini mesopotamiche, si presenta come l’albero della civiltà per eccellenza, intanto perché per ottenerne i prodotti dev’essere innestato, curato e i frutti lavorati, e poi perché, come vedremo, ad esso si legano alcune delle più antiche istituzioni sociali e culturali sia di Atene, sia panelleniche.
L’olio degli dèi nella Valle dei Templi
Monumentali e vetusti, li chiamano “patriarchi della Valle dei Templi” per la loro sobria imponenza. Sono enormi ulivi saraceni, il più vecchio dei quali ha più di 700 anni.
Antichi quasi quanto la civiltà millenaria di cui sono stati muti testimoni, dai frutti di questi alberi secolari si estrae un nettare prezioso, un olio extravergine di straordinaria qualità.
La raccolta e la produzione, a cura dell’Ente parco archeologico e paesaggistico Valle dei Templi, seguono metodi tradizionali. Le olive, ancora verdi perché l’olio conservi un buon sapore fruttato, vengono raccolte a mano, in modo da non danneggiarle, e trasportate nella stessa giornata al frantoio dove sono spremute a freddo con macine di pietra.
per saperne di più vai a: serenaitalian.wordpress.com
Monumentali e vetusti, li chiamano “patriarchi della Valle dei Templi” per la loro sobria imponenza. Sono enormi ulivi saraceni, il più vecchio dei quali ha più di 700 anni.
Antichi quasi quanto la civiltà millenaria di cui sono stati muti testimoni, dai frutti di questi alberi secolari si estrae un nettare prezioso, un olio extravergine di straordinaria qualità.
La raccolta e la produzione, a cura dell’Ente parco archeologico e paesaggistico Valle dei Templi, seguono metodi tradizionali. Le olive, ancora verdi perché l’olio conservi un buon sapore fruttato, vengono raccolte a mano, in modo da non danneggiarle, e trasportate nella stessa giornata al frantoio dove sono spremute a freddo con macine di pietra.
Monumentali e vetusti, li chiamano “patriarchi della Valle dei Templi” per la loro sobria imponenza. Sono enormi ulivi saraceni, il più vecchio dei quali ha più di 700 anni.
Antichi quasi quanto la civiltà millenaria di cui sono stati muti testimoni, dai frutti di questi alberi secolari si estrae un nettare prezioso, un olio extravergine di straordinaria qualità.
La raccolta e la produzione, a cura dell’Ente parco archeologico e paesaggistico Valle dei Templi, seguono metodi tradizionali. Le olive, ancora verdi perché l’olio conservi un buon sapore fruttato, vengono raccolte a mano, in modo da non danneggiarle, e trasportate nella stessa giornata al frantoio dove sono spremute a freddo con macine di pietra.